Dedicato ai ragazzi

I vostri figli non sono i vostri figli
Potete custodire i loro corpi,
ma non le anime loro,
perchè abitano case future
che, neppure in sogno,
potrete mai visitare...

(Gibran Kahlil Gibran)

Mondo giovane chiama adulti
 SOS per come fare da grandi
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Rovistando in redazione fra le scartoffie archiviate qua e là allo scopo di trovare perle smarrite, testimonianze e contributi non ancora pubblicati che possono aiutare i nostri lettori immersi nei problemi del budget, della riconversione, dello stress da lavoro che devasta spesso il nostro emozionale; cercando di capire quali valori abbiamo ancora da condividere con i lettori di www.bottegadelcamento.it, abbiamo scovato una lettera di Mattia: un pensiero, una riflessione presentati a un importante Concorso nel 1991.

La chiusura del tema ci chiama in causa.
Chi vuole può rispondere a Mattia inviando una mai qui in redazione
info@francomarmello.it

 

 

 

Diventiamo cittadini europei
Concorso 2007/2008
Chiadò Mattia
Lanzo, 2/07/1991
Liceo scientifico paritario Max Planck
Classe III
Docente: Donato Palella (Italiano-Latino)
Tema numero 2

Globalizzazione e crisi dello stato sociale sono 2 fenomeni fortemente collegati; la globalizzazione economica, che ha prodotto tendenzialmente un unico mercato mondiale rende più acuta la competizione fra le Economie e fra gli Stati, e questi ultimi sono sempre meno in grado di sostenere le Politiche Sociali.
Come si presenta la situazione in Europa a questo proposito?
Quale ruolo può giocare l’Unione Europea per governare la globalizzazione e sostenere la necessità di una ‘’competizione sostenibile’’che non avvenga a danno dei diritti sociali dei cittadini e delle più importanti conquiste del welfare state novecentesco?

 

Pensiero di Mattia
Fino a non molto tempo fa, prima che con gli attentati terroristici sul suolo americano e i conseguenti interventi bellici in Afghanistan e Iraq avesse inizio il periodo di forti tensioni internazionali che ha caratterizzato i primi anni del XXI secolo, il fenomeno che catalizzava l'attenzione di tutti era la globalizzazione: invocata da alcuni come la sintesi più compiuta dell'efficienza dei meccanismi di libero mercato (in modo da distribuire maggiore ricchezza a tutti i popoli della terra), osteggiata da altri come il fenomeno più evidente dello sfruttamento economico dei Paesi più poveri da parte di quelli più ricchi, la globalizzazione è al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica mondiale ed è, oramai, un dato di fatto.
È infatti ineluttabile che in futuro, al di là di momentanei passi indietro dovuti a momenti contingenti, lentamente ma inesorabilmente i confini nazionali perderanno parte del loro valore: le persone si muoveranno sempre più facilmente facendo diventare il mondo sempre più piccolo; in ogni caso, con l'avvento a partire dagli anni '80 di questo dirompente fenomeno, ha preso avvio un processo di integrazione delle attività economiche, dell'informazione e della comunicazione, degli scambi e delle istituzioni, che vede coinvolta buona parte dei Paesi del mondo; il fenomeno ha assunto tuttavia connotati più netti nel momento in cui al suo fianco si è inserita una variabile nuova ma dalla significativa portata innovativa: il progresso tecnologico.
Si è venuto così a determinare un circolo virtuoso tra l'espansione economica mondiale - con l'apertura di nuovi mercati, l'integrazione più stretta di aree economiche sempre più ampie, la libera circolazione di capitali e merci, il passaggio di grandi gruppi industriali dalla proprietà pubblica a quella privata - e lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e delle telecomunicazioni , che ha dato il via ad una serie di significative rivoluzioni nelle modalità di lavoro, di organizzazione e di comunicazione, ponendo le basi per nuovi business prima impensabili.
Da una parte, con la volontà di assecondare questo processo per fare propri i relativi vantaggi, in numerosi Paesi sono state adottate politiche neoliberiste che hanno assegnato ai mercati e alle imprese il ruolo di protagonisti dello sviluppo mondiale: in questo quadro gli scambi commerciali internazionali hanno registrato un incremento senza precedenti e le multinazionali hanno visto crescere il proprio peso nel più ampio contesto internazionale.
La globalizzazione è fonte di varie opportunità, pur restando una delle sfide più importanti che l'Unione europea è chiamata ad affrontare attualmente.
Per sfruttare pienamente il potenziale di crescita collegato a tale fenomeno e garantire una ripartizione equa dei suoi vantaggi, l'Unione si adopera per dare attuazione, attraverso una governance multilaterale, a un modello di sviluppo sostenibile volto a conciliare crescita economica, coesione sociale e protezione dell'ambiente.
L'Unione Europea e gli Stati Membri operano in favore dello sviluppo sostenibile non soltanto all'interno ma anche oltre le frontiere, segnatamente nell'ambito degli organi internazionali competenti e in occasione di riunioni quale il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile svoltosi a Johannesburg.
La politica commerciale comune costituisce uno dei principali strumenti delle relazioni esterne dell'Unione Europea, tale politica rientra nella sfera di competenza esclusiva della Comunità, essa costituisce la contropartita dell'Unione doganale fra gli Stati membri.
La politica commerciale comune implica una gestione uniforme delle relazioni commerciali con i Paesi Terzi, segnatamente tramite una tariffa doganale comune e tramite regimi comuni che regolano le importazioni e le esportazioni.
La Comunità persegue l'eliminazione delle restrizioni agli scambi, nonché delle barriere doganali.
Per proteggere il mercato comunitario, la Comunità dispone di strumenti quali le misure antidumping e antisovvenzioni, il regolamento sugli ostacoli al commercio e le misure di salvaguardia.
La Commissione negozia e conclude accordi internazionali a nome della Comunità nel quadro delle sue relazioni bilaterali e multilaterali; essa partecipa attivamente all'Organizzazione Mondiale del Commercio.
L'Unione Europea sostiene un commercio liberalizzato, equilibrato e favorevole agli interessi di tutti gli operatori internazionali e in particolare dei Paesi meno favoriti; in tal senso le misure preferenziali generali e specifiche in favore di questi ultimi costituiscono un aspetto importante della politica commerciale comune.
L'unione doganale è l'elemento essenziale del mercato comune.
L'istituzione di un'unione doganale, ultimata nel 1968, costituiva l'obiettivo principale dopo la firma del trattato di Roma.

 

Le misure più importanti prevedevano:

  • L'eliminazione di tutti i dazi doganali e di tutte le restrizioni tra gli Stati Membri
  • L'introduzione di una tariffa doganale comune (TDC) applicabile in tutta la Comunità Europea alle merci provenienti dai PaesiTterzi (le entrate così ottenute fanno parte delle risorse proprie della Comunità)
  • La Politica Commerciale Comune come componente esterna dell'Unione doganale (la Comunità parla con voce unanime a livello internazionale).

La Comunità ha concluso una serie di accordi speciali sia al fine di facilitare gli scambi economici (come quello relativo allo spazio economico europeo), sia per promuovere lo sviluppo offrendo accesso preferenziale ai mercati europei.
Il Movimento anti-globalizzazione è una locuzione nata intorno al 1999 e che indica un insieme di gruppi, organizzazioni non governative, associazioni e singoli individui relativamente eterogenei dal punto di vista politico ed accomunati dalla critica all'attuale sistema economico neoliberista.
La critica principale del movimento è volta verso le multinazionali.
Secondo gli aderenti, il loro potere è così forte da condizionare le scelte dei singoli governi verso politiche non sostenibili da un punto di vista ambientale ed energetico; imperialiste, non rispettose delle peculiarità locali e dannose per le condizioni dei lavoratori.
Il  movimento anti-globalizzazione ha tratto ispirazione da lavori di scrittori ed intellettuali di tutto il mondo; anche alcuni altri studiosi ed economisti critici nei confronti del neoliberismo, sebbene non si riconoscano nel movimento, lo hanno ispirato in parte.
Una delle critiche mosse più di frequente a questa esperienza politica è quella della mancanza di propositività dovuta alla presunta impossibilità di coordinare le forze politiche eterogenee che lo costituiscono entro uno schema di progettualità politica di lungo termine. Il movimento è spesso accusato di non possedere realismo politico e di essere ideologicamente una collezione di spinte utopiche talvolta incompatibili tra loro.
I critici più aspri equiparano invece il movimento a una organizzazione eversiva, quasi terroristica, di estrema sinistra, sebbene tra gli scontenti del nuovo ordine economico globale si annoverino anche militanti di destra: ritengono legati i no-global alle ali più estreme e violente, accusandoli di non prendere le adeguate distanze, anche in forza di fatti di violenza seguiti a scontri con la polizia.
La globalizzazione è dunque anche un fattore di competitività per le imprese: esse aumentano le dimensioni generando consistenti economie di scala, aprono nuovi mercati, riducono i costi esportando le produzioni, scelgono la loro localizzazione anche a riguardo di aspetti fiscali, normativi, sindacali, eccetera.
I risultati per i consumatori sono quelli di un generale abbassamento del costo di produzione dei beni e dunque del prezzo di mercato.
La globalizzazione della finanza è un dato di fatto non solo per i grandi investitori, ma anche per i piccoli risparmiatori: tassi, valute ed azioni si confrontano in un mercato che, anche grazie alla tecnologia delle telecomunicazioni, è oramai completamente aperto.
Il dissolvimento "elettronico" dei confini comporta, nella complessità delle operazioni, problemi di natura commerciale, giuridica e fiscale non indifferenti.
Sarebbe teoricamente possibile che un operatore tedesco, residente fisicamente in Italia ma giuridicamente in Svizzera, compisse operazioni sul mercato di Tokyo via internet attraverso un provider di accesso francese che fornisce il server ma attraverso un servizio di brokeraggio americano.
Gli effetti della globalizzazione sono certamente duplici: da un lato le aziende producono maggiore ricchezza che distribuiscono ai propri soci sempre più frequentemente localizzati in un gran numero di Paesi: l'economia globale comporta la diffusione planetaria del benessere a tutti coloro che entrano a far parte del meccanismo della produzione e dei capitali; la crescita globale, anche se con ritmi diversi, aumenta la ricchezza delle nazioni. D'altro canto la protezione dei diritti sociali, oramai ampiamente assodata nei Paesi occidentali, non vede ancora la luce nei paesi in via di sviluppo; così come i diritti umani e politici, visto che la crescita economica non si accompagna necessariamente con la crescita democratica.

 

In definitiva la globalizzazione economica non ha tenuto il medesimo ritmo rispetto alla diffusione dei diritti sociali, ma i consessi internazionali hanno oramai avviato virtuosismi tali da creare le basi per una loro diffusione.
In questi ultimi anni il Welfare State è stato messo in discussione da vari economisti e i governi dei Paesi occidentali vengono spinti a tagliare la spesa sociale; secondo i critici, i programmi di trasferimento di reddito per ragioni sociali sono all'origine del declino delle performance dell'economia, mentre i tagli alla spesa sociale costituirebbero il presupposto per il ritorno all'età felice della piena occupazione e dello sviluppo economico.
La capacità dello Stato nazionale di perseguire la propria integrazione politica attraverso le politiche di Welfare all’interno è sollecitata dalle politiche di globalizzazione e di mondializzazione.
Lo stato sociale è l’esito di un contratto sociale o di un compromesso tra capitale e lavoro.
La politica sociale degli Stati Moderni dovrebbe attenuare le contraddizioni dell'economia capitalistica, conciliando le esigenze di produttività e di efficienza con quelle di sicurezza, di protezione e di benessere diffuso.
Perciò tali politiche dovrebbero garantire le esigenze di giustizia distributiva, di equità e di solidarietà nei confronti delle fasce più bisognose della popolazione, promuovendo così la pace sociale.
Sempre nelle intenzioni dei suoi sostenitori, il Welfare State dovrebbe rappresentare la mitica terza via fra il sistema capitalista e quello socialista: una via né liberista né dirigistica.
Di qui la crescita di atteggiamenti consociativi che portano il mondo politico, sindacale e del Grande Capitale a "cooperare in nome del Bene Comune del Paese".
Il fallimento del Welfare State - come pure dell'economia mista - nella generalità dei Paesi in cui è stato adottato è il logico e inevitabile esito di un sistema sociale-politico-economico edificato sulla base di una visione distorta dei compiti dello Stato in ordine al bene comune, a sua volta frutto di una visione antropologica e sociologica erronea.
L'ideologia su cui si fonda il Welfare State è, in radice, di tipo collettivistico, anche se non si raggiungono gli esiti ultimi insiti in tale ideologia, ovvero una totale pianificazione della vita sociale ed economica, con l'abolizione della proprietà privata e della libertà di iniziativa, economica e non; infatti, molte caratteristiche del Welfare State nei Paesi capitalisti ricordano, seppure in forme meno estreme, aspetti tipici dell'organizzazione sociale ed economica dei Paesi del socialismo reale. 
In questo discorso, pronunciato il 15 settembre 2006 a Istambul, in occasione di una conferenza organizzata dal Centro per le riforme europee, il Commissario europeo responsabile per il commercio Peter Mandelson avverte che le ripercussioni politiche della risposta dell'Europa alle sfide economiche della globalizzazione incideranno sul dibattito relativo all'adesione della Turchia all'UE; Mandelson mette in guardia dal rischio che la Turchia diventi "l'immagine in cui si proiettano tutte le paure dell'Europa per un mondo che cambia"; secondo Mandelson cogliere le implicazioni politiche ed economiche della globalizzazione in Europa sarà essenziale per garantire un dibattito "razionale" sul posto della Turchia nell'UE.
Mandelson dichiara: "Se non si saprà cogliere l'importanza dell'allargamento e della globalizzazione, i costi economici si sentiranno innanzitutto in Europa, con un relativo declino economico e una riduzione della base fiscale per i nostri sistemi sociali, ma le ripercussioni politiche si sentiranno anche qui in Turchia, con un rafforzamento delle contrarie a un ruolo della Turchia nell'UE; spetta all'Europa garantire che ciò non accada."

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