Haiku del viandante
(lavorando in giro per l'Italia)

 
a cura di M.S.

A tutti i poeti per caso...

Al compimento del mio ennesimo anno di età, gli amici  -preoccupati del pauroso ritardo tecnologico in cui ero sprofondato senza neanche rendermene conto- mi regalarono un cellulare; non avevo mai posseduto un telefonino, anche se -per lavoro- sono molto in giro.

Me l'ero sempre cavata con cabine in autogrill (non sempre funzionanti); con i telefoni dei bar e dei ristoranti unti di sapori e di odori e con i telefoni fissi dei miei generosissimi Clienti.

Io compio gli anni in marzo.
Osservai quell'aggeggio fino al mese di settembre.
Non volevo che un utilizzo affrettato dello strumento stravolgesse la mia vita.

Durante l'estate preparai un piano di resistenza allo strumento invasore.
All'apertura dei giochi di lavoro ero pronto: il piano prevedeva che lui fosse al mio servizio per facilitare le  comunicazioni con l'esterno: farmi risparmiare tempo -in buona sostanza- quando il tempo mi fosse mancato; ma prevedeva anche che non mi limitasse nei rapporti umani, che non raffreddasse  le ottime  relazioni verbali ed epistolari che avevo intessuto con il mio mercato in tanti anni di paziente lavoro: restavo pur sempre un umanista...

Un mattino d'autunno, mentre aspettavo che un treno mi trasportasse -nella nebbia- fino alla città dove dovevo tenere un corso aziendale sul tema della comunicazione efficace, scattò il mio ribelle interiore, ero deciso: quell'aggeggio non mi sarebbe servito soltanto  per inviare  fredde, laconiche e burocratiche comunicazioni di lavoro (d'altra parte, lunghe e amichevoli telefonate al cellulare avrebbero penalizzato troppo il mio bilancio di povero artigiano della formazione).

Doveva esserci un altro modo...

Strumentalizzare l'handicap...!
Avevo cercato di insegnarlo molte volte in aula.
Quel giorno lo misi in pratica: afferrai il telefonino e cercai di comporre un pensiero poetico; dovetti eliminare e fare a meno di molti aggettivi, avverbi e circumnavigazioni letterarie varie, per farlo stare in memoria in una unica soluzione; da anni scrivevo come giornalista su periodici specializzati; avevo parecchi libri in cantiere; ero anche iscritto alla SIAE come autore della musica e del testo; ma il poeta no, non lo avevo mai considerato.

Notata la mia insospettabile abilità di sintesi inventata lì (per caso) mi venne in mente Ugaretti e mi autonominai poeta ermetico; verificai il tutto sottoponendolo alla visione di Valéry: il mio testo era suscettibile di diverse interpretazioni? (assolutamente si, ogni volta che leggo una mia poesia la capisco in modo diverso: dipende da che tempo fa dentro e fuori di me);  e io -come poeta- non ero depositario di una chiave di lettura privilegiata? (assolutamente no, quando invio questi pensieri ai miei amici vengono fuori feed-back deliranti). 

Ero poeta!

Ormai maniaco della sintesi, un giorno scrissi: silente il tempo ci porta qui a vivere.
Mi sembrò un po' corta, ne parlai con mia figlia Muriel
Lei mi mostrò un libro di haiku.
Lessi: l'haiku è un genere letterario giapponese, una breve poesia di tre versi e diciassette sillabe; non una di più; si ispira all'osservazione della realtà.

Adesso non so più se sono un poeta ermetico o un autore di haiku.

Giudicate voi.

Buona lettura.

Rubo negli occhi al tuo risveglio, il racconto di un giorno insolito, dipinto dai desideri viandanti di musica pagana...

(il viandante formatore, quando è lontano, appena sveglio pensa alla persona amata e immagina i suoi occhi)

 

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